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Sono umano, parola di robot

Sono umano, parola di robot



L’episodio, vale la pena dirlo subito, è decisamente da caffè leggero del mattino, forse, persino da battute e sorrisi.
E, però, nasconde una verità che merita una riflessione in più.
Un’agente diversamente intelligente di OpenAI, infatti, nei giorni scorsi avrebbe dichiarato di essere umano.
La sigla e vi racconto cosa è successo.


Ci è capitato a tutti che, online, nell’accedere a alcuni contenuti o servizi, a un certo punto, ci sia venuta incontro una popup nella quale ci è stato chiesto di dichiarare o confermare di essere umani.
Per farlo, a seconda dei casi, dobbiamo cliccare da qualche parte sullo schermo, flaggare una check box, riconoscere degli oggetti, completare un puzzle o riconoscere numeri e lettere scritti in un’immagine volutamente di non immediata intellegibilità.
L’obiettivo è – ma non so se bisognerebbe dire era - scongiurare il rischio che bot malevoli, sostituendosi a umani, inizino a usare il servizio o a accedere a contenuti, magari in maniera massiccia, compromettendo il buon funzionamento della piattaforma.
Una frontiera di umanità, si potrebbe dire, un limite oltre il quale, sin qui, donne e uomini venivano fatti passare e i robot bloccati anche se, vale la pena dirlo subito, un confine sotto e sopra la cui recinzione era già capitato alcuni robot passassero.
Ora, dalle pagine di Reddit, la più popolare piattaforma di discussioni online della storia, rimbalza un episodio curioso sulle prime, istruttivo in fondo.
Un utente chiede a un agente diversamente intelligente di OpenAI di convertire un file video da un formato a un altro e segue, come attualmente il sistema consente di fare, le azioni dell’agente in una finestra del suo browser, dalla scelta del servizio online per farlo, alla digitazione dell’url, all’inizio della procedura di accesso e di upload del video ai fini della sua conversione.
Tutto perfetto, tutto normale, tutto relativamente spedito fino a quando il gestore del servizio di conversione online non chiede all’agente intelligente, appunto, di confermare di essere umano cliccando dentro un quadratino bianco.
Qui accade l’imprevedibile, forse.
L’agente non ha alcuna esitazione, racconta all’utente – il suo mandante – in una finestra di testo, della richiesta ricevuta e della circostanza che provvederà a rispondere affermativamente alla domanda e così procede.
Per il gestore del sito è abbastanza, si convince dell’umanità del suo interlocutore e alza la barra della frontiera di umanità lasciandolo entrare e lasciando usare al robot il servizio.
Una sana risata è probabilmente la prima reazione: un robot che rinnega la sua natura e si dichiara umano.
Subito dopo, però, il sorriso lascia il posto a qualche riflessione in più.
La prima: un agente che agisce per un umano, per ora, più o meno sotto il suo controllo, può legittimamente dichiararsi umano?
Lui non lo è ma, in fondo, è solo il delegato robotico di un delegante umano.
L’idea che la risposta possa o, addirittura, debba essere affermativa non è così tanto peregrina.
E, però, nel pubblico e nel privato ci sono tonnellate di termini d’uso di servizi e regolamenti sull’utilizzo di servizi digitali che andrebbero, a questo punto, rivisti perchè riservano l’uso di certi servizi e il compimento di certe attività a umani in carne ed ossa.
La seconda riguarda – lo dico male per sintesi e me ne scuso – l’onestà di un robot che si dichiara umano pur di raggiungere un risultato richiestogli da un umano.
Ovviamente il concetto di onestà, talvolta irraggiungibile persino per gli umani, non appartiene al mondo dei robot ma è tutto normale così?
Dobbiamo rassegnarci a interagire e convivere, per ora almeno online, con robot che ci si dichiarano umani?
Domanda complicata – anche se forse un principio di risposte è già in alcune regole in fatto di trasparenza dell’intelligenza artificiale adottate in giro per il mondo Europa


Published on 2 months ago






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